“Il Piacere” e “Il Ritratto di Dorian Gray” vennero considerati a loro tempo una sorta di Vangelo dell’Estetismo Decadente.
I protagonisti sono Andrea Sperelli e Dorian Gray, entrambi di nobili origini e, come Estetismo comandava, bellissimi e giovani. I due personaggi sono accomunati da vari «valori» estetici: primo tra tutti il culto dell’arte, la risoluzione della vita stessa nell’arte, la ricerca del bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto distacco da ogni convenzione morale e infine il disprezzo per la volgarità del mondo borghese.
Il culto dell’arte e la vita intesa come opera d’arte sono concetti fondamentali dell’intero estetismo: concetti che vengono riflessi nelle due opere. Per Andrea Sperelli è un valore tramandatogli dal padre: “... Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: «Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte ...» ...”, mentre Dorian Gray viene «illuminato», quasi «corrotto», da uno sconosciuto per lui, Lord Henry Wotton, che rappresenta metaforicamente il noto teorico inglese dell’Estetismo, Walter Pater, che parlava di “... poetic passion, the desire of beauty, the love of art for art’s sake ...” (passione poetica, desiderio di bellezza, amore dell’arte fine a sè stessa) nei suoi Studi sulla Storia del Rinascimento (Studies in the History of Renaissance). Queste idee si riflettono nelle parole stesse di Lord Wotton, nelle sue tesi secondo cui “... la bellezza è una forma di genio: è più alta, in realtà, del genio e non ha bisogno di spiegazione. È una delle grandi cose del mondo, ... Per me la bellezza è la meraviglia delle meraviglie ...”.
L’ “eroe decadente” delle due opere tende a vivere la propria esistenza come “opera d’arte”, lasciandosi guidare più dai propri istinti che dalla razionalità e creando rapporti singolari ed ambigui con la realtà del vivere civile - rapporti che potremmo definire asociali - in virtù del proprio sfrenato egocentrismo. Ecco che quindi Andrea Sperelli vive esclusivamente per l’amore, l’arte e la cultura. Egli è il tipico dandy, sensibilissimo e raffinatissimo, che ha la tendenza ad esasperare in maniera estetizzante tutte le sue esperienze esistenziali. Egli inoltre resta morbosamente legato ad Elena Muti, donna affascinante e perversa, l’archetipo del desiderio senza limiti; legame che lo porterà alla rottura anche con Maria Ferres, che è invece l’esatto opposto di Elena: Maria rispecchia l’immagine della donna pura e casta, tipica della tradizione religiosa cristiana, richiama la figura dantesca di Beatrice, è una sposa infelice, una madre tenera, ispira un amore dolce, malinconico, totalmente opposto al sentimento passionale e morboso ispirato da Elena. Proprio attraverso queste due donne possiamo facilmente notare l’ambiguità di Andrea Sperelli: da un lato una donna passionale, poi però «ripiega» su un amore di tipo stilnovistico, sebbene ancora legato al primo vero amore.
Questa ambiguità è da riscontrare anche in Dorian Gray. Inizialmente egli è infatti un giovane puro d’animo, tanto da rimanere sconvolto e turbato dalla sua stessa bellezza ritratta nel dipinto. In seguito, nello studio d’arte dell’amico Basil Hallward conosce un amico di questi, Lord Henry Wotton, che celebra la bellezza quale massimo valore da perseguire nella vita, prospettando al giovane Dorian una giovinezza molto breve ed una vecchiaia insostenibile. Da qui il desiderio di Dorian di restare giovane al posto del quadro, che invece porterà i segni delle sue malefatte. Alla fine del romanzo, Dorian decide di “uccidere” il quadro, proprio perché testimone della sua vera vita. L’ambiguità di Dorian sta nell’episodio iniziale e questo finale: all’inizio egli è puro d’animo, ma di fronte alla prospettiva di una vecchiaia si lascia facilmente influenzare, alla fine del romanzo egli quasi si pente di ciò che ha compiuto durante la sua vita e vorrebbe distruggere la prova della sua dissipatezza.
Andando oltre il romanzo, e analizzando i due autori, potremmo parlare della «moralità» o meno delle due opere. D’Annunzio sicuramente ha un atteggiamento ambiguo nei confronti di Andrea Sperelli: da un lato lo condanna, avendo rappresentato la «miseria del piacere», con il proposito moralistico di aver mostrato come il godimento raffinato del piacere non porti alla felicità ma generi solitudine, dall’altro lato, sembra che D’Annunzio non segua sinceramente questo suo proposito: egli lo condanna, ma di fronte alla corruzione, alla depravazione di Andrea Sperelli, egli dimostra più compiacimento che ripugnanza: il suo personaggio è l’emblema della vanità e della falsità di una vita protesa esclusivamente al godimento sensuale, eppure è proprio questa vita fuori del comune, non soggetta ad alcuna norma morale che affascina il D’Annunzio. Wilde, invece, è perfettamente identificato con Dorian Gray: anche l’autore inglese è infatti raffinatissimo, si circonda volentieri di oggetti d’arte, e «fa la propria vita come si fa un’opera d’arte» citando D’Annunzio. Al contrario di D’Annunzio, egli aveva un atteggiamento ben definito, tanto che quando lo accusarono di immoralità manifesta, egli rispose che “non esiste cosa come un libro morale o immorale, esistono solo i libri scritti bene e quelli scritti male”.
È evidente, secondo il mio punto di vista, che l’autore inglese è decisamente più avanzato rispetto al D’Annunzio: non dimentichiamo che quest’ultimo aveva anche intenzione di scrivere qualcosa di piacevole per le masse, per il pubblico di lettori, e che quindi non poteva esprimere liberamente le proprie idee in merito. Wilde è stato invece molto più libero, slegato da qualsiasi legame con la società, con la morale Vittoriana, tanto da finire anche in carcere per atti omosessuali.